Biography

second part 1980-1986
Text by Ada Patrizia Fiorillo

1980

La ricerca su questo spazio geometrico scandito da linee, quale linguaggio unificante di una certa sintesi di forma e colore prosegue per tutto il 1980 anno in cui Gerardo Pedicini, lo presenta allo Spazio dell'Agro di Nocera, dove Panariello terrà una personale dal titolo "Le Carte". Nello stesso anno tiene una personale alla Galleria Dehoniana di Napoli e partecipa alle collettive Work/Area/lndagine alla Galleria 2B di Bergamo; allo Studio ii Moro di Firenze; alla Galleria San Carlo di Napoli; all'Arte Duchamp di Cagliari e Mail-Art/Naples presso la Galleria Dehoniana di Napoli. in occasione della personale alla Dehoniana nella quale i'artista presenta i "frottages", Maurizio Vitiello così annota in catalogo: "Partito dal 1970 con una ricerca di tono metodologico, il giovane operatore partenopeo tende ora a risolvere, con un'impronta del tutto razionale, il naturale (albero, casa, Prato) in una rigenerata presenza. ii dato oggettivo é portato in campo aperto, vive a contatto con colori freddi e distaccati (che ci precisano l'operazione razionale e meditata) e si impone con una nuova e pluralistica prospettiva. "La palizzata", "L'albero" sono precisi momenti espressivi di Panariello.
Oggi essi sono protesi a trovare uno spazio non fisico, bensì di maturata significazione. i "frottages" che sono abili tagli su stesure di colori algidi, misurano l'intervento dell'artista. "Segnate" in linee verticali o orizzontali queste realizzazioni si aprono e tendono ad incamerare acute proposizioni mentali. La linea é suono, é colore. il taglio, l'incisione sulla tela, attraverso il colore, é significazione estrema di intervento "sperimentale". La percezione che provocano le tele di Panariello è dettata da una misurata eleganza, da uno stile personale, da una concezione spaziale di preciso equilibrio". Su Napoli "Oggi" Gino Grassi invece afferma che "Panariello, continuando l’operazione e usando gli stessi materiali, passa dall'albero al suo simbolo lineare e modulare, variando peraltro tonalità ed intensità tonale, spessore delle fasce ed intersecando il paginato con sottili diaframmi bianchi o neri a seconda delle esigenze.
Questa ricerca che potrebbe a prima vista sembrare astratta o astrattizzante, tende ad isolare un tempo soggettivo. Questo tempo privato che in Alfano si manifesta con i numeri ed in Guido Tatafiore con altri segni particolari in Panariello si concretizza in strutture verticali o orizzontali modulari assai più vicine a ipotetici diaframmi memoriali che ad una serialità di immagini fisiche".

1981-82

Gli anni '81 ed '82 rappresentano un altro periodo di stasi nell'attività espositiva di Panariello che continua instancabile nella sua indagine, cosicch6 essi divengono il momento di passaggio ad un'ulteriore fase della sua ricerca. L'82 soprattutto segna l’approdo ad una sorta di liberazione dalla rigorosa geometria delle linee che, già individuabile nei "frottages" realizzati con pastelli a cera, quale pigmento sottostante e poi graffiati per far riaffiorare il colore rappresentano un primo passo verso quella "geometrizzante" indagine segnica da cui prende vita il ciclo del "Verbigiaroble" ma anche una serie di opere, esposte pero solo nell'83.

1983

il ripristinato rapporto con la Galleria San Carlo, fa si che a meta dell'83 Panariello esponga con una personale presentato in catalogo da Luigi Paolo Finizio e con una testimonianza di Enrico Crispolti. Sempre nell'83 tiene una personale al Centro d'Arte il Campo di Cava de’ Tirreni e partecipa all'8° Expo-Arte di Bari. L'assunzione di un nuovo spazio geometrico espressione di una forte coniugazione di geometria e colore fa dire a Luigi Paolo Finizio che si tratta di "Una geometria, quindi, sensibile, venata di forti valenze espressive, coniugata su campi di colori luminosi oppure densamente oscurati. Per questa via sensibile di organizzazione percettiva, i termini di geometria e colore non sono più dei distinti ma un unico corpo linguistico, una sorta, cioè, di coesione segnico¬cromatica (gli antichi pererga articolantisi e scomponentisi sul piano di rappresentazione. in tal guisa, colore e forma si intarsiano sulle movenze geometriche, attraverso i tracciati lineari assumendo tensioni simboliche del tenore di emblemi decorativi di vago gusto secessionista (si vedano "Percorrenza e sviluppo intermedio", '81; "L'incognita Mira", '82).
La stesura agile e spessa, l'accensione dei colori, la loro cupezza profonda, esaltano le configurazioni geometriche e il loro scorrere percettivo, ma queste a loro volta risucchiano i campi di colore, li assimilano al proprio disporsi sul piano. Nelle sue valenze espressive, nei suoi articolati motivi d'immagine l'impianto geometrico tende a seguire una frontalità planimetrica, una dislocazione che focalizza o stacca la connessione segnico-cromatica. A volte queste connessioni scorrono con le movenze di un fregio, altre volte danno vita al profilarsi di tracce che delineano campi di colore (come in "Sviluppo intermedio"), '81; "Silente rosso" '82).
L'intento si rende tuttavia leggibile, comunicato per il consistere di un immaginario geometrico che raccoglie nei suoi termini formali l’ irruenza colorica, il percorso quasi gestuale di tracce e campiture cromatiche. Questa, appunto, la visione sensitivo-contemplativa che sottende l’immaginario geometrico di Panariello....Come sempre, all'interno delle ricerche linguistiche geometriche l'individuazione di possibili tipologie inventive la coniugazione creativa dei nessi strutturali si nutrono di elaborazioni metodologiche, di progettazioni che dischiudono i termini impiegati ad ulteriori definizioni. Per Panariello occorre dire che tale metodologia non si e mai dissociata da una intenta e pilotante corsività formale. Di qui un procedere che flette e dissolve i nessi a rendersi pure parvenze di geometria".
Affettuosamente Enrico Crispolti gli riconoscerà "Prima una volontà sperimentale, apertissima, relativamente ai modi della comunicazione figurale, dico proprio in termini linguistici. Apertissima, persino disorientante. E comunque la possibilità di avvertire pur entro questo sperimentalismo una sorta di filo rosso di una prevalenza, forse, di interessi non figurativi, ma non in modi costanti. Secondo, una estrema, deliberata quasi, raffinatezza degli strumenti, sia verso it segno, sia soprattutto verso il colore. Un colore-segno, a volte, come del caso dei disegni colorati che sono in cartelle analoghe a questa. Di raffinatezza estrema nei rapporti, quasi a voler fare del pur breve campo pittorico it luogo di una totalità lirica".
La mostra ampiamente recensita trova nelle pagine dell'Unita a nota di Ela Caroli queste parole: .Sono dipinti in tempera acrilica e cera basati su un rigoroso linguaggio geometrico, organizzato in movimenti strutturali che hanno origine in una progettualità del colore e della forma. Queste due componenti dell'immagine, infatti, più che formate sono "formulate" prima della stesura e poi, sulla tela, assolvono ad una funzione precisa, derivante dal concerto che le ordina. i segni tracciati obbediscono proprio ad una esigenza di rigore e di ordine mentale, che riduce tutto il mondo delle forme ad una essenza. Dietro questa operazione sembra esserci una volontà forte di semplificare in termini geometrici la natura e le cose. L'esperienza sensibile chiede aiuto all'intelletto che astrae dal mondo i simboli e i segni necessari per sondare un linguaggio "essenziale".
Da questo porre l’accento sull'operazione geometrica e razionale di Panariello che sembra trovare concordi sia Finizio che la Caroli si discosta Gino Grassi che, attento osservatore dell'evoluzione temporale dell'artista, cosi annota su "Napoli Oggi": "La nuova operazione di Panariello none nata dal nulla: scaturita da un'evoluzione continua che ha spinto il pittore ad abbandonare una ricerca completamente mentale (che privilegiava un po' troppo la ragione ai danni della creatività) e a dare, al segno gestualizzato, il suo esatto valore.
Per questo motivo, una volta tanto non mi trovo d'accordo con l’amico Finizio che parla di una organizzazione geometrica che prevale su tutto il resto. Certo, it punto di partenza e astratto, ma si tratta di un'astrazione "fantasiosa" che correlaziona segno e colore e conduce Panariello ad un autentico recupero dell'immagine in un contesto che sembra prendere inconsciamente le somme da un procedimento riduttivo che apre la strada ad un discorso di libera grafia in cui l'inventiva, l’estro, la capacità di coordinare situazioni differenti fanno di Panariello un artista che merita tutta la stima possibile. D'altronde lo stesso Finizio, che presenta (assieme a Crispolti) l’artista sul catalogo della mostra, avvicina Panariello al "solco storico di una geometria sensibile o di un immaginario geometrico, che da Kupka a Licini, si inoltra a coniugazioni post-informali...".
Un più ampio interesse invece, verso una spazialità architettonica ed un aspetto ludico quasi mai segnalato nei lavori dell'artista si legge tra le righe di Nikoletta Hristodorescu sulla rivista "Le Arti news" dove scrive "il Panariello, nei percorsi, appunto di un geometrismo cromatico, non si ferma ad un poetica esclusivamente pittorica, ma si apre su ben altre dimensioni che sono quelle dello strutturalismo ludico-ironico. infatti, i suoi "progetti-sculture" o "strutture-umanizzate" ci propongono, in forma panteistica, l’ "umano architettonico" come l'uomo-finestra, l'uomo casa, ecc., coinvolgendo cosi, spazio fisico, spazio architettonico, e la presenta del fruitore".
Del resto che la sua ricerca, pur non distaccandosi completamente dai lavori precedenti, si sia ora indirizzata ad un ulteriore fase evolutiva che, giungendo ad una simbiosi segno¬colore, pone il prima come perno centrale di svariate possibilità espressive é testimoniato dallo stesso artista che, nel catalogo allestito per l’8° Expo-Arte di Bari dalla Galleria S. Carlo, afferma: "lo sento con estrema sicurezza il legame che unisce le mie tele più recenti a quelle che dipinsi motto tempo fa.
Tuttavia non penso come allora. O piuttosto, ciò che sta alla base dei miei pensieri non é mutato, ma il mio pensiero si è senz'altro evoluto, e i mezzi di espressione hanno seguito questo sviluppo. Ciò che perseguo sopra ogni cosa, é l’espressione. Anche se mi hanno attribuito e faccio riferimento alle opere degli anni settanta, dove la matrice geometrica era prevalentemente, una certa scienza, grande manualità, facendo risultare la mia ricerca limitata e non oltre la soddisfazione d'ordine puramente visivo che può procurare la vista di un quadro. Tuttavia nella mia costante ricerca geometrizzante di un equilibrio e di uno svincolamento mentale cercavo di trovare un linguaggio più aperto, chiaro e quel che più conta profondamente sincero. Nelle mie opere attuali possibile cogliere la coesistenza in cui il momento geometrizzante e contemplativo raggiungono un compromesso sensibile, le forme geometricamente bloccate, cedono a forme più libere.
Oggi per me la pittura non è altro che un atto, una confessione non di ordine individuale, ma vuole dare nuovo respiro all'uomo: Farce non deve solo rendere bella la vita o nascondere il brutto, ma deve portare la vita stessa, creare la vita da se stessa. "il punto di arrivo emblematico, dunque, di quanto ora si viene registrando nell'attività dell'artista e proprio net ciclo dei "Verbigiaroble", una serie di carte sulle quali adopera il verde, il bianco, il giallo, il rosso, il ble, per l'appunto sintetizzati net curioso titolo, che egli espone net mere di novembre al Centro d'Arte il Campo di Cava de’ Tirreni. Che essi rappresentino il rifiuto e in certo senso la protesta verso le mode del momento, ma certamente anche la gioia di una esplodente libertà espressiva, traspare dalle righe Bello stesso Panariello che annota: "conoscersi nel Romantico é restituire energia vigore agli istinti fantastici; libertà riconosciuta solo ai giovani Romei, dove i'atto del Rompere come rifiuto dell'andazzo all'usanza corrente e negazione e presenza attiva di cui acuisce il frangente al pedissequo. i "verbigiaroble" servono a testificare il gesto Bizzarro di chi vuole Blandire un'eredità culturale a volte troppo spesso bizantina".
Chiarificatore e, comunque, senz'altro l'intervento di Maurizio Vitiello che presentandolo in catalogo scrive: "Quest’ esposizione presenza, di sicuro, un'attendibile e magistrate momento essenziale (canonico come abbiamo scritto prima) per chi opera nell'investigazione astratta. i cinque colori sono spesi in una rincorsa, in un'agitazione manovrata dal gesto sino a situarsi sull'immacolato foglio cartonato per essere giusta scia di una convulsa azione creatrice.
Pulite stesure, eleganti e misurate tracce segniche si pongono come ribalta estetica di un lavoro di quinta, sospeso tra concetto spaziale ed immaginazione. i cinque colori scelti rendono un universo cromatico per rispondere ad una totalità lirica. in definitiva emerge una rapsodia che riflette una rassegna di emozioni linguistiche astratte. Questi segnano asciugano e premiano il senso del gesto, la dinamicità del divenire creativo e congelano, in uno spazio minimo, appunti cromatici. Ma più che appunti forse occasioni che sollecitano l'impatto visivo di chi padrone di raffinato gusto". Recensendo la mostra su "Le Arti news" Ela Caroli sostiene che "Panariello ha voluto addirittura dare un titolo che unifichi i suoi dipinti dell'ultima produzione. Un titolo ben strano volutamente scherzoso: "Verbigiaroble" che, dice, vuol sottolineare l'uso predominante dei colori verde, bianco, giallo, rosso e blu.
A parte questo sfizio innocente, l'opera di Panariello si distingue effettivamente per la totale identità tra segno e colore, strumenti espressivi di una geometria cromatica di grande raffinatezza. Sequenze ritmiche, rapporti di temi in consonanza, simmetrie ed anche asimmetrie sempre mirabilmente equilibrate, come studi sui rapporti "aurei" di proporzioni. La misura del gesto stesso che traccia, percorre il campo con i segni astratti del colore, e' indice di notevole lucidità mentale, di economia. La misura è quindi il principale carattere di queste opere che appaiono composte con un ordine ed un rigore estremi, come se si trattasse di una notazione musicale su un invisibile pentagramma".
Se il dato più caratteristico di questi ultimi lavori é riscontrabile in questa carica di gestualità segnica nascosta nelle pieghe cromatiche, da rilevare che su tutto cio sovrasta quel senso di
equilibrio e di misura, sicuramente comune denominatore di tutta la produzione artistica di Panariello. Ed è, del resto, ciò che si ritrova nei lavori cui dà vita già con la fine dell'83; un ciclo dedicato al "Tempio" nel quale la scoperta dell'architettura meglio ancora di forme prelevate dalla realtà fenomenica é consentanea all'esigenza di operare sulla superficie attraverso la costruzione cromatica di esse.

1984

il "Tempio" sarà esposto a partire dall'84, anno che lo vede impegnato in due personali, di cui una nel mese di febbraio allo Studio Centrozero di Angri e l’altra nel mese di dicembre alla Galleria San Carlo di Napoli ed in alcune collettive quali: la 9° Expo-Arte di Bari; Spazio Classico presso la Galleria A come Arte di Napoli; un'altra facciata dell'Expo-Arte di Bari presso la Galleria d'Arte Comunale di San Severo; Pastello Oleoso presso il Centro d'Arte il Campo di Cava dei Tirreni; Gruppo San Carlo presso la Galleria d'Arte Moderna di Loiano (BO); Opera Omnia. Nuove presenze del panorama artistico meridionale presso il Solarium delle Terme di Montesano ed infine Aritmie al Circolo Le Botteghelle di Salerno.
Allo Studio Centrozero di Angri l’artista presentato in catalogo da Massimo Bignardi e da Maurizio Vitiello. Bignardi soffermandosi sulle corrispondenze tra gli aspetti formali e cromatici le individua come "Un modo questo per immettersi in quelle maglie dell'opera, leggendo attraverso le forme quelle tensioni accese dal dialogo cromatico. Dialogo nella pittura di Panariello; vivo in superficie nascondente sotto il velo delle tinte, quell' intreccio espressionistico, gestuale, residuo di un'emotività informale, che anima il fondo di preparazione dell'opera su cui l’artista da' vita a segni scavati nella materia. Una rete di piccole connessioni, attinte alla vita quotidiana; graffi sull'epidermide del supporto, spesso sottolineati con forza dall'ispessimento o da una riduzione dello strato preparatorio in cera. Questo processo é ben evidente nelle ultime opere, in modo particolare nel trittico dedicato al Tempio dimenticato: i segni affiorano maggiormente in superficie divenendo elementi costruttivi dell'opera".
Contemporaneamente Vitiello annota che "Alieno da un portato di moda, Giuseppe Panariello, nel suo atelier, per la scelta di pezzi per questa mostra, ci ha permesso di controllare tutta la sua produzione di acquerelli, tavole, tavolette, cartoni, tempere, tecniche miste, acrilici e cere, disegni... ed abbiamo notato magistrali rilievi in cui accenti di raffinato cromatismo si equilibrano in strutture geometriche. i lavori che l'operatore napoletano va esponendo da un anno sono il risultato di un'appassionante studio sulle combinazioni che i colori determinano sulle trame geometriche.
A "il Centrozero" si leggono lavori che potrebbero dirigerci su periodi diversi di progettazione. Panariello opera nello stesso tempo su materiali diversi e su tematiche leggermente differenziate e definiamo questo procedere non casuale, bensì variegato, dischiuso ed aperto ad accogliere successive e ritmiche sequenze di nessi e dissolvenze cromatiche.
i vari lavori si distinguono non solo per le diverse sfumature di resa e per le dimensioni, ma per se no e costruzione. Le piccole tavole si possono considerare gioielli di una creatività astratta mentre le tele medie su cui non sono posti più di quattro colori risultano architetture minime di una visione grafica correlata ad un'intensità espressionistica e gestuale.
Nei lavori di più grandi dimensioni l'intervento coloristico é tutto teso a comunicare attraverso le trame geometriche. L'artista tende quasi a voler far vivere di una sua vita autonoma la materia-colore. E nei campi in cui la s"tua la tratta con accordi ed accenti di vena informale". Recensendo la mostra su "Le Arti news" Nikoletta Hristodorescu scrive che "La ricerca dell'insegna del ritrovamento di equilibri armonici nella geometrizzazione dello spazio pittorico rappresenta una costante nell'attività creativa di Giuseppe Panariello.
...Fantasia dispiegata, abbinata a coordinazione motoria tra gesso e progetto di strutturazione architettonica, squisito gusto negli accostamenti ritmici del croma e semplicità. apparente dell'impianto emergente, costituito su un minuzioso lavoro di tessitura del supporto, sono alcune delle caratteristiche maggiori dell'impegno artistico perseguito con tenacia vocazionale dal pittore napoletano".
in occasione, invece, della partecipazione alla mostra Spazio Classico, curata da Massimo Bignardi, lo stesso annota in catalogo parlando dell'artista che «La tensione cromatica, giocata nella trama di un colore "di posizione" é l’elemento centrale di quella dimensione classica con la quale Panariello si rapporta: il ciclo dedicato al "Tempio dimenticato" attesta una adesione partecipata al presente vissuto nel suo crescente ritmo quotidiano. Vi si scorgono elementi didattici, riappropriativi di significati, comunicazione cercata e sofferta con una realtà che tutto assorbe nel vortico delle mode».
Ampi riconoscimenti gli verranno dalla partecipazione nel mese di luglio alla mostra Opera Omnia curata da Bignardi, la quale richiamerà un vasto eco di stampa.
E, infatti, nel mese di settembre che su "il Giornale del Mezzogiorno" nella pagina "Viaggio nei fermenti culturali del Sud" Francesco Ribolla, sostiene: "Quel che invece colpisce nella produzione pittorica di Giuseppe Panariello, che pur si colloca nell'ambito dell'astrattismo geometrico, é l’abilità di sfuggire a degli schemi preordinati - insidia ricorrente in questo settore – riuscendo al contrario, a "creare" una dimensione a sé, in cui anche il senso compiuto della linea geometrica diviene indecifrabile. Sarebbe facile perciò perdersi nel labirinto Belle definizioni care alle vecchie zie della critica d'arte, l’ermetismo di certa pittura nasce proprio dalla necessità che l’artista, posto di fronte ad un mondo dove tutto confuso, avverte interiormente.
E più probabile, vista l'estensione del fenomeno, che Giuseppe Panariello, sordo ai richiami del falso sperimentalismo, abbia voluto inconsciamente prendersi gioco dell'ormai collaudata transavanguardia. E già questa parvenza di non allineamento un segnale positivo e rinfrescante". Mentre poco dopo sulla rivista "Perimetro" Nicola Scontrino affermerà: "Un lungo silenzio attraversa le tele, la dimensione dello spazio diventa un luogo appena percettibile, dove il colore costruisce, distrugge, annienta, reinventa la sua dimensione, la sua tattilità, tutto in un frastuono di impatto con cui lo spettatore viene a confrontarsi. ii colore, la struttura, il segno, diventano i linguaggi eterni di raffronto fra l’opera e il fruitore, e l'artista diventa l'elemento medianico, quasi come in una alchimia dove tutto diventa un processo fra la materia ed il fatuo. L'uso quindi di un linguaggio, che attraversa tutte le metafore, sia esse segniche che linguistiche, un gioco metonimico, in cui Panariello fruisce il suo operare.
infatti egli attraversa il concetto di spazio con un uso linguistico del colore ed i suoi elementi, che pongono le dimensioni del proprio percorso, a volte senza limiti, altre volte richiudendosi dentro la propria dimensione tautologica. Un indizio questo che fa riflettere e che induce ad entrare nel "Tempio" anche se "dimenticato".
Certo il discorso di Panariello si pone non certamente come approssimazione al testa, ma come risultante dialogante tra testo immaginativo e colore. Da ciò si può partire per un contesto critico al lavoro di Panariello, un esame analizzante le componenti del discorso pittorico dove bisogna cercare e, se possibile, trovare i supporti è meglio le ragioni dell'alterna vicenda delta storia "pittorica" che travagliano tutta la dimensione di Panariello".
Frattanto la personale del mese di dicembre alla San Carlo anche occasione per presentare la monografia edita nella collana "Strumenti" net cui testo Vitaliano Corbi scrive: "E davvero singolare come la progressiva organizzazione del campo pittorico in situazioni iconiche nitide e concluse non abbia affatto diminuito, nelle opere che Giuseppe Panariello ha realizzato negli ultimi due anni, la rigorosa frontalità dell'immagine e la sua stretta aderenza al piano di proiezione.
Nei dipinti recenti dell'artista si può dire che non ci sia neppure un punto che accenni ad allontanarsi dalla superficie del quadro e a disporsi obliquamente, per evocare, al di là di essa, la profondità dello spazio, o anche solo uno spessore che non sia quello reale della materia cromatica, che gioca, nella varietà delle strutture e degli strati, come la pelle sulla carne, per trasparenze ed opacità, per solida compattezza di tessuto e per sottili strappi e lacerazioni.
il trittico del "Tempio dimenticato", del 1984, segnala, anzi, un processo di intensificazione non solo degli effetti percettivi, ma anche di alcuni valori culturali storicamente connessi, appunto, all'uso della visione frontale.
Questa, invece, che attenuata, sembra essere stata esaltata dal facto che il precedente assetto geometrico dell'immagine anche se già insidiato dall'insorgenza di un'energia gestuale e cromatica, non sempre docilmente piegata a subire il primato della geometria -- si sia mutato e quasi animato nelle forme armoniose di antiche architetture greche, nei profili di colonne e di fregi scanditi con ritmo misurato ed ampio....Emerge indubbiamente nel grande trittico del 1984 il motivo della "sacralità" dell' arte. Ma la sua presenza non deve assolutamente intendersi come un segno di simpatia per la mutria degli ultimi irrazionalisti, che pretendono di convertire misticamente il silenzio della ragione nella rivelazione assoluta dell'essere. Al contrario, Panariello é riuscito con il "Tempio dimenticato" ad approfondire alcuni temi della propria ricerca, rimeditandoli criticamente, con il distacco necessario cioè per alleggerirli di quel tanto di gravitazione metafisica che li frenava e per indirizzarli, invece, verso la dimensione metaforica del mito...
Ma perché allora, questa idea del mito, nelle opere di Panariello, s'é indirizzata all'esempio più paradigmatico, e direi persino abusato, della civiltà occidentale, verso quell'architettura classica the più di ogni altro momento della storia dell'arte ha esercitato un'influenza normativa e quasi un'ininterrotta egemonia fino al secolo scorso?
La risposta ovviamente non é da ricercare nei rapporti che realmente sono intercorsi, nella nostra cultura, tra l'idea del mito e quella dell'arte classica. Anche se tutti sanno che appunto l’interpretazione della civiltà classica, come età mitica del genere umano é stata talvolta una chiave efficace per aprire la strada a nuove mozioni creative che premevano contro gli argini d'una tradizione sclerotizzata, quel che qui interessa sottolineare é il modo in cui Panariello ha saputo compiere un drastico ribaltamento proprio dei caratteri esemplari dell'architettura greca, intervenendo direttamente sull'assetto spaziale di questa....Nella pittura lucida e marmorea delle opere del Tempio si agita e Fermenta una speranza diversa di vita organica: via via che l’occhio
si sofferma ad osservarla, la sensazione iniziale di una solenne e impassibile ostensione dell'immagine si trasforma nell'altra opposta di un brulicare parossistico di cellule sulla superficie quasi entro la pelle del colore, con un effetto sorprendente e inquietante di sprofondamento dall'ordine conosciuto del macrocosmo in un insondato e minaccioso microcosmo". La mostra otterrà un notevole successo di pubblico e di critica. Su "Napoli notte" Gino Grassi annota che "Giuseppe Panariello, nel progressivo sviluppo della propria personalità di pittore e nel suo sempre tormentoso prendere coscienza della realtà fenomenica, si é via via posto con maggiore concretezza il problema della vera essenza della creatività, quel fluido misterioso che conduce l’artista a cercare di interpretare il mondo attraverso se stesso, e se stesso attraverso ciò che accade "fuori".
il trittico del "Tempio dimenticato" che il pittore presenta alla "San Carlo" con la cartella di serigrafie dal titolo "Quetzalcoatl" presentata da Massimo Bignardi, sembra riproporre attraverso la mediazione lirica, un incontro tra il presente ed il passato, un evento che riesce a verificarsi soltanto in virtù di una tensione che accomuna nel ricorso alla memoria ancestrale fatti storicizzati e storicizzabili, trasformati dal simbolo in elementi estetici. Ed é giusto affermare che questa riproposizione esula dai modelli di moda ed affronta in chiave nuova il rapporto fra la realtà e il mito". Mentre Michele Bonuomo su "Il Mattino" sostiene: "Su una superficie a sviluppo rigorosamente bidimensionale Panariello in questi ultimi lavori di grande formato e con una cifra di netta libertà creativa, sposta il suo campo di indagine su un terreno in cui la qualità e la tensione pittorica sopravanza ogni altra ipotesi. Superata una fase di stretta osservanza concettuale, interessante e rigorosa dove la costruzione tutta mentale dell'opera non permetteva alcuna fuga nell'irrazionale, Panariello ha ritrovato il piacere della pittura. in un fitto intrigo di segni, quasi una sorta di alfabeto di una lingua misteriosa (il riferimento alla cultura maya o azteca tutto da relazionare all'idea pittorica che questi ultimi avevano della scrittura), e in un sapiente uso della materia espressiva, l’artista formalizza una sua maniera di intendere e praticare la pittura....in questo dinamico rapporto tra forme e colori Panariello non si lascia andare ad una pratica gestuale o selvaggia della pittura; se il segno forza la rigida griglia di uno schema mentale rigoroso e a tutto vantaggio di una visione più lieve e più sognante della pittura. in questa nuova dimensione ritrova una sorta di eco metafisica in cui i suoi "templi" si stagliano densi di angosce benefiche, quasi minacciose e impassibili, ma oltre le quali c'é l'inizio di un viaggio tutto da percorrere. Si mettono a fuoco territori tutti da esplorare. Questi ultimi lavori di
Panariello danno la netta dimensione di un artista che vuole assolutamente essere presente - ed ha tutte le carte per esserlo - nella contemporaneità, con i rischi e le preoccupazioni che comporta tale scelta di campo".
Nel testo della cartella, sopracitata Bignardi, rileva che: "Panariello sa bene di essere partecipe del presente, lo sa fino in fondo: soprattutto sa come organizzare nelle mani il sapere d'una pratica, infondendo all'opera grafica un'aura magica...".

1985

Nel 1985 la ricerca sul "tempio" continua e l'artista pur non esponendo in alcuna personale, partecipa a varie mostre collettive: a Cerignola (FG) con "Giro d'orizzonte", allo Studiodiciasette; a Bari alla 10° Expo-Arte; a Napoli con i'Acchio Bach "la terza realtà" definizionismo, nella Sala Vincenzo Gemito; a Cava de' Tirreni con "Giro d'orizzonte" presso il Centro d'Arte il Campo; a Marcianise con "La tradizione in Rivolta" presso il Palazzo della Cultura; a Napoli con "12 giovani pittori napoletani" Euromercato (Casoria); a Pompei con il "Fascino di Pompei passato e presente" presso il Museo-Scientifico Vesuviano G. B. Alfano ed ancora a Napoli con "Lastra Acidulata. incisori degli anni Ottanta" presso la Galleria Ariete.
Un interessante oltre che sintetizzante profilo dell'attività artistica di Panariello sarà pubblicato nei primi mesi dell'anno nella rivista "Le Arti news" da Nikoletta Hristodorescu che afferma: "Pittore, scultore e designer, appartenente alla generazione venuta alla ribalta negli anni Sessanta, la matrice eclettica di Giuseppe Panariello emerge dall'oscillazione dialettica della sua ispirazione tra la progettazione consapevole e il dettato subcoscienziale, tra la storicità del presente e il riferimento al patrimonio spirituale ereditato. Questa oscillazione corrisponde tanto alle istanze di una struttura caratteriale problematica, inquieta e versatile, quanta ad una Weltanschauung connessa alla volontà di sperimentazione nel continuum del proprio bagaglio immaginifico.
Al di là di ogni forma di programmazione, la sincerità dello slancio creativo del pittore napoletano si palesa nel rapporto sensitivo che egli instaura con il medium e perfino con gli strumenti operative del suo agire pittorico. Nella struttura sempre aperta del suo discorso, appare rilevante il ribaltamento del data oggettivo propulsore nella metafora, nel simbolo, nell'inespresso. Procedendo per elisioni e per sintesi, di fronte alla sovrabbondanza dei contenuti che emergono dal vissuto privato e collettivo, Panariello estrae quei frammenti segnici o emozionali che unificano la dimensione umana con l'ambiente e con la storia. La ricerca di un linguaggio universale, di una cifra archetipa, che possa esprimere l’alterità nell'identico, la sottrazione nell'addizione, viene effettuata dall'artista con procedimenti vari e meditati. i suoi attraversamenti stilistici, dalle inflessioni surrealistiche, allo strutturalismo espressionistico e alle complesse contestualizzazioni ludiche di iconografie satireggianti, rivelano il possesso di una professionalità cimentatasi nell'uso delle più svariate tecniche....Le sue tessiture cromatiche, di sapore sinopiale, concentrano in superficie le vibrazioni emotive che fungono da sottosfondo all'evoluzione architettonica della linea continua. La spartizione geometrica dello spazio, la delimitazione di isole di colore dalle gradazioni giustapposte o affini, tradiscono, intanto la tensione psichica della deprivazione emozionale, laddove sembra risolverla ed annullarla. La retta che inquadra e separa, suggerendo l'aspirazione all'ordine e alla chiarezza, si arresta, però, di fronte al limite. L'irrazionale escluso torna a manifestarsi, appunto attraverso la sua assenza. Altrove, invece, il gesto liberatorio traccia scintillanti guizzi di luce, esplode in armonie pirotecniche, in dinamiche centrifughe di scatti nervosi ("Verbigiaroble", 1982). La violenza e la brevità dell'impennata pittorica rivelano la spinta istintuale pura, che nell'atto di svincolarsi dal mentale ne segnala implicitamente la presenza. Una fusione sincretica delle proprie istanze creative viene, invece, realizzata da Panariello nel ciclo delle opere più recenti sulla tematica del tempio.
Mentre nei lavori precedenti le opzioni monodirezionali, incentrate prepotentemente sul razionale o sull'istintuale apparivano riconducibili, secondo i parametri di un'analisi sociopsicoestetica, all'interiorizzazione sofferta e critica dell'atomizzazione e della compartimentazione ("La mente e il braccio", 1966), della massificazione (la serie "Alberi", 1977, dell'esteriorità e della libertà condizionale (serie "Palizzate", 1977; "Frottages", 1977; "Percorrenze", 1982) dell'esserci contemporaneo, nella produzione del 1983/84 l'artista trova l'aliquid pittorico per autotrascendersi ed aprirsi al "pensare oltre" (nel senso jaspersiano del termine). ii "guardare" attraverso la materia" già palesato in lavori anteriori, Si tramuta qui in un guardare attraverso l’ essere", in un risalire all’ origine, nell'intento di raggiungere gli altri attraverso S. Lo sguardo penetra, infatti, l'opacità delle colonne e del portale ("ii tempio dell'ara", 1984), per spaziare in una dimensione fantastica, popolata da figure mitiche".
in realtà questa summa di interessi che caratterizza il lungo percorso artistico del giovane operatore, giustamente indicato dalla Hristodorescu come indizio di "professionalità", si potrebbe aggiungere di curiosità nel senso di desiderio di conoscenza e di nuove sperimentazioni, non gli fa tralasciare i'appassionante mondo delta grafica.
E a proposito di una cartella di serigrafie dal titolo "Giro d'orizzonte" che scrivevo: "L'evoluzione di questo viaggio attraverso tale orizzonte segnico, giunge con Giuseppe Panariello alla strutturalizzazione, tendenzialmente ancora astratta, di un segno che lontano dall'istintività gestuale di chiara marca informale, si trasforma in rappresentazione di immagini costruite secondo un estremo rigore metodologico. L'artista, infatti, si abbandona al colore, alle strutture, al segno, quest’ultimo fortemente stilizzato, codificato, per raffigurare antiche architetture greche, colonne, capitelli, fregi, realizzati secondo la bidimensionalità e la frontalità tipiche dell'arte arcaica. Un indagine attenta e sofisticata dell'artista alle figurazioni del mondo greco con un ricorso nella sfera del mito che non rappresenta il rifugio nei modelli del passato, bensì una possibile riflessione sui cambiamenti e le trasformazioni in atto oggi .
il passaggio, dunque, dall'astrattismo all'iconografia dei "templi" ampiamente individuato da più parti nella sua pittura come momento chiave di un percorso evoluzionistico farà affermare a Francesco Ribolla in un articolo su "Sicilia Sera" che "Nei suoi ultimi lavori, le linee figurative hanno cominciato a prevalere sull'astratto, senza pero ripudiare le origin' dello stile. Anzi, diremmo quasi che l'innovazione di Panariello rappresenti, invece di una trasfigurazione, una variazione su tema....Sulla scorta di questi dati potremmo tuttavia aggiungere the il filo ricorrente e simbologico, al quale Panariello ha affidato il suo nuovo messaggio, consistente nelle diverse raffigurazioni e prospettive della colonna - da cui titolo e tema dell'opera - possa celare, dopotutto anche una certa dose d'ironia: non é forse da essa che prendono spunto ed avvio i principali rudimenti di storia dell'arte?".

1986

il 1986 modellandosi per quanto attiene la sua ricerca sulla scia dell'anno precedente, vede la partecipazione dell'artista alla mostra Osservatorio Vesuviano-Ripe 86, tenutasi nel Comune di Ripe S. Genesio (MC) e alla Viii Biennale d'Arte di S. Severo (FG). Nel testo al catalogo della mostra di Ripe, Massimo Bignardi sostiene: "Dal canto suo Giuseppe Panariello indaga oggi, nella misteriosa "storia del tempio", nel suo essere luogo di memorie, riferimento classico della nostra cultura. Ha, da tempo, avuto la forza e il coraggio di far emergere i segni archetipi, nascosti anni fa sotto lo spessore della cera".
Nella stessa occasione tracciandone un breve profilo annotavo: "Mito e sacralità diventano allora solo il tramite del tentativo attuato dall'artista di instaurare un dialogo tra presente e passato. E lo fa affidando al binomio colore-decorazione l’ampio respiro di una pittura che, imponendosi nella apparente staticità, offre il rimando di inquietanti presenze, piccoli elementi di un microcosmo dove si agita sottostante tutta la tensione esistenziale alla quale le sollecitazioni odierne costantemente ci sottopongono".
in sostanza ciò che è da rilevare alla fine di questo non breve pirofilo biografico dell'artista é una continuità di indagine che, anche quando sembra diversificarsi per una serie di interessi e di momenti di ricerca, che vedono in primis affermarsi nei suoi lavori l’aspetta razionalistico nella sua componente geometrica sull'apporto creativo più propriamente emozionale, quest’ultimo poi esemplicantesi nei lavori dedicati al "Tempio", ci riconduce senza dubbio al dato iniziale. Penso allora ai Frottages realizzati già sullo scadere degli anni '60, quel suo scavare nella materia di base per farne emergere i segni quali tracce non più di un oggettivo mondo geometrizzante, bensì risultato di un prima liberatorio rapporto con il circostante. Una sorta, quindi, di libertà espressiva ricercata tra le pieghe del binomio forma-colore (sintomatico l'approdo ai Verbigiaroble 1983) fino al raggiungimento di un nuovo spazio "geometrico".
E quel suo ricorrere, dunque, ad indagare nel mondo classico del Tempio, per farne emergere i segni di umane, archetipe presenze: riproposizione quest’ultima di un classicismo di natura etica, quale modo strettamente personale di rapportarsi al presente attraverso il filtro della storia.

Biografia - seconda parte 1980-1986

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